Shiva e Babubhai

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Shiva e Babubhai si sono incontrati alle tre, puntuali, come ogni giorno da più di un mese a questa parte, forse due. Come ogni giorno, Domeniche comprese, sole o pioggia che ci sia, si sono trovati uno di fronte all’altro. Babubhai ha salutato come sempre con un cenno e Shiva è sembrato non essersi nemmeno accorto di lui. Tutto normale, fa sempre così. Fanno sempre così. E pensare che senza l’uno non esisterebbe l’altro, almeno qui. Eppure nessuno dei due sembra volerlo ammettere.
Shiva è un ladro. E si è cacciato di nuovo nei guai, ma questa volta sul serio. Shiva corre, scappa tenendo una bambina fra le braccia che piange e si nasconde scomparendo in quell’abbraccio. Doveva esserci una borsa piena zeppa di soldi in quel bagagliaio e invece c’era lei, Chinki, piccola, silenziosa e in lacrime. Mentre la guardava incredulo aveva sentito il primo sparo. Non poteva lasciarla lì. Forse l’avevano incastrato, forse questa volta aveva pestato i piedi alla persona sbagliata. E dire che doveva essere il suo ultimo colpo. Scappa e pensa quella promessa, l’ultimo colpo. Chissà dove sarà Paro ora, chissà se la rivedrà. Paro è riuscita a farlo mentire come mai aveva fatto prima e l’ha fatto essere sincero come non credeva di poter essere. Shiva non era riuscito a dirle di essere un criminale per paura di perderla e poi aveva deciso che un criminale non lo sarebbe più stato. L’avrebbe fatto per lei, per loro. Shiva è braccato, gli spari si fanno sempre più vicini, gli sono alle calcagna. Continua a correre tra i vicoli, cambiando continuamente direzione per disorientarli ma non sembra funzionare. Finché, dopo l’ennesima svolta, si trova in uno spiazzo, ora è circondato. Sembra che sapessero già che la sua corsa sarebbe finita lì e lì lo stessero aspettando. Gli si avvicinano, hanno spranghe e catene. Nei suoi occhi si vede il luccichio di quel metallo agitato in aria e si vede l’ultimo bacio dato a Paro. Non riusciranno ad averlo tanto facilmente. Gli si fanno addosso uno alla volta e lui, tenedo Chinki stretta a sé riesce a mandarli al tappeto, uno dopo l’altro. Non avevano davvero capito con chi avrebbero avuto a che fare. Anche se da domani la sua vita sarà un’altra lui è pur sempre Shiva il più astuto e forte dei ladri. Occhiali a specchio e baffi neri come la sua pistola.

 

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Babubhai in tutta quella confusione, tra minacce, spari, pugni, urla, è rimasto al suo posto come non stesse succedendo proprio nulla. Canottiera bianca, sguardo concentrato e barba malfatta. Non sarà certo l’ennesima sparatoria a distrarlo. In anni di lavoro di scene come quella ne ha viste a migliaia. L’unica emozione che tradisce quando guarda per un istante Shiva è racchiusa tutta in uno sbuffo che sa un po’ di noia un po’ di sufficienza. I due continuano ad ignorarsi.
Babubhai è metodico, segue un ordine preciso nei suoi gesti. E come potrebbe sennò. Tra il caldo e quel chiasso non ci si più tanto distrarre. Mestiere difficile il suo, a ben vedere più che difficile ingrato. Perché non è solo Shiva a dipendere da lui ma sono in parecchi che dovrebbero ringraziarlo ed invece non lo conoscono nemmeno. E finché lui non sbaglia nessuno si accorgerà della sua presenza, nel suo mestiere bravura fa rima con invisibilità. Ma se solo facesse un errore non faticherebbe molto a trovarsi più di cento persone pronte a scagliarsi contro di lui. Lo sa. E col tempo ha imparato prima ad accettare poi ad apprezzare quel suo anonimato. Ha una tazza di tè poggiata su una mensola a cui dedica appena l’attenzione di un sorso ogni volta che può fermarsi un istante. Non si siede quasi mai, continua a rimbalzare tra le due vecchie Cinefones a cui deve badare, fregandosene del caldo che emanano e della polvere, armeggia con le manopole e con gli indicatori, sempre pronto a correggere ogni imperfezione. Perché lui sa, in cuor suo, che Shiva non sopporterebbe mai di finire fuori fuoco.

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Tra quelle due vecchie macchine che occupano la maggior parte dello spazio nella saletta, Babubhai cammina frenetico e carica la pellicola successiva in un proiettore mentre l’altro è in funzione. Sono arnesi che come lui hanno superato i cinquant’anni e montano bobine da non più di dieci minuti. Così di tempo ne rimane davvero poco tra il dover riavvolgere la pellicola, riporla, caricare quella successiva e controllare che il proiettore non s’inceppi. Babubhai non ha tempo per le storie che si svolgono appena al di là del vetro.
Non ha nemmeno tutti i torti. La storia di Shiva è priva di senso, di una banalità sconcertante, talmente semplice ed appiattita da poter essere capita senza sapere una parola di Hindi. E Shiva è in buona compagnia. Di tutta l’immensa quantità di film prodotti in India, quelli che sfiorano la decenza sono davvero pochi, alcuni di loro si fanno conoscere anche in occidente, rimanendo a volte sconosciuti in patria. Perché è in questi teatri diroccati di provincia che il cinema indiano ha il suo più grosso bacino. Gente alla quale quei minuti interminabili di pugni, spari e forza straordinaria piacciono tremendamente. Come compare l’eroe di turno si sente un boato, tifo da stadio che poi si trasforma in un’assordante marea di fischi non appena s’intravede qualche nemico. Il cinema indiano di provincia è fatto di questo, soprattutto di questo.
Ma a parte quella violenza che sfiora il comico e fa storcere il naso, un altro motivo spinge la gente a venire qui. C’è chi lo ammette, chi lo fa intendere e chi lo nega senza che nessuno gli creda. Nemmeno la più rovinata delle pellicole riesce ad offuscare la sua bellezza e quando cala un po’ il silenzio tra gli spari, si sa che sta per arrivare il suo momento. Tutto il pubblico, a quel punto, sta aspettando solo il sorriso di Paro.

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La pellicola di Shiva viene proiettata tre volte al giorno, ogni giorno, da ormai quasi due mesi e chi lavora in questo cinema riesce a riconoscere dai rumori le varie scene. Ascoltare il sonoro di un film fatto per lo più di pugni non offre molti indizi ma c’è chi ha comunque  imparato a distinguere quei suoni, un po’ per abitudine, un po’ per convenienza. L’atmosfera al di fuori della sala ha del surreale perché attorno al piccolo teatro non c’è nessuno. E ci sono pochi luoghi in India in cui non ci sia proprio nessuno. Nel cortile deserto, col sole che cade a picco e scoraggia chiunque ad abbandonare l’ombra del piccolo portico, si riesce a vedere solamente qualche gatto che usa quello spazio come scorciatoia tra un tetto e l’altro. A rompere il silenzio l’audio del film attutito dalle pesanti tende alle porte. E in questa atmosfera immobile, che pure il vento sembra aver abbandonato, dorme Ranjit uno dei tanti svogliati caratteristi di questo cinema. Dorme come fosse in galera, con un occhio sempre pronto ad aprirsi quando sente dei passi o qualche rumore. Steso su una panchina, sicuro di non rubare posto a nessuno, aspetta. Di Shiva non gl’importa davvero nulla e il loro è un rapporto di pura utilità. Ranjit nel suo sonno a metà tende un orecchio. L’ultimo sparo. E ora di tornare nel chiosco, è finito il primo tempo. Ora è lui a dover entrare in scena.

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La sala che divide Babubhai da Shiva è diroccata, vecchia, senza luci. Il luogo che per molti è il cuore di un cinema, la sua parte più famigliare, l’unico che il pubblico possa conoscere, cade a pezzi. Le sedie rotte vengono ammassate negli angoli e non vengono sostituite, nessuno pulisce da tempo e i topi sono i veri padroni di questo spazio. La sala che durante le proiezioni è stata il paradiso e l’inferno, è stata Delhi e New York,  le montagne del Kashmire e il deserto del Thar, come la gente se ne va, ripiomba pesantemente nella sua realtà malconcia. L’assenza delle luci a quel punto sembra un favore che le viene concesso. Il poco sole che entra quando vengono aperte le tende illumina appena i primi metri e quello che si vede riesce a far capire a che triste visione ci si troverebbe davanti se le lampade appese al soffitto avessero lampadine. I multisala stanno conquistando anche l’India, chi vuole far finta di essere in occidente può benissimo andare là. Nessuno ormai investirebbe in un piccolo cinema di provincia, così si andrà avanti finché si potrà, finché le sedie saranno abbastanza per gli spettatori.

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Ci sono due tazze di tè sulla mensola ora. Una a metà e una vuota da un pezzo. Non riesco a tenere il ritmo lento dei sorsi di Babubhai. Seduto in un angolo lo guardo lavorare nel ripetersi continuo degli stessi gesti. La sedia nell’angolo l’ha messa lui e ha fatto segno di sedermi. Stavo intralciando ogni sua operazione e, ovunque mi andassi a mettere, non facevo che peggiorare la situazione. Il nostro era un ballo di coppia con i passi tutti sbagliati. Ho anche accennato ad andarmene ma ha voluto che restassi, d’altra parte erano appena arrivate due tazze di tè. Con la gentilezza tutta spigoli dei solitari cerca di spiegarmi come funzionano quei due grandi macchinari che occupano la sua vita. Nel disinteresse completo per ciò che quella pellicola in realtà proietti, per il senso di quella sequenza d’immagini, Babubhai vive lì, isolato, nella sua alcova d’amore tecnologico. Tra quelle mille regolazioni passa le sue giornate, con una dedizione che quei film davvero non meritano. Canottiera bianca, sguardo concentrato e a barba malfatta. Il sorriso di chi, mentre sorride, si accorge di non essere bravo a farlo. Tre spettacoli al giorno, tutti i giorni, senza che nessuno si accorga di lui. Ho promesso che avrei stampato le sue foto e gliele avrei portate, mi ha fatto vedere dove le appenderà. Fuori ormai è buio e sullo schermo Shiva sta per tornare da Paro per l’ennesima volta. Solo lei ormai, tre volte al giorno, non sa chi chi stia bussando alla sua porta. Babubhai inizia a riporre tutto negli armadi e a chiudere le finestre, Il film sta per finire. Quando scorrono i titoli di coda Il pubblico è ormai sparito e la sala è tornata alla realtà, Babubhai, Illuminato solo più dalla luce del proiettore, come il guardiano di un faro, ha lo sguardo rivolto ad un orizzonte buio. Shiva a quel punto non esiste già più.

 

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Ci si vede domani alle tre…

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5 thoughts on “Shiva e Babubhai

  1. Senza parole. Sei davvero bravo… Mi è sembrato di essere tornata alla mia infanzia quando la mia bisnonna mi leggeva qualche storia che ancora non conoscevo e accanto ad ogni pagina scritta c’era la “figura” che mi aiutava ad immaginare meglio ciò che mi stava raccontando… Grazie

  2. Pingback: Shiva e Babubhai - Prima parte

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