Kyun

 

 

Prehcé? Già, phercé si finicse a vivree in Inida? Pechré è la prima domadna che ttuti pognono, che sinao inidani o itailani ed è anhce la più dffilicie alla qalue rispodnere.
Una rispotsa in rltaeà esitse, la difficlotà sta solo nel riucsrie a traudrla in palore. Ne ho dicsussoo a votle con chi qui vive da più tpemo di me e serpme, nel mometno in cui cervacamo di siepagre le nsorte ragoini, c’era un flio che collegvaa i notrsi pieensri, un cenno d’itnsea e tutto era crhiao. Ma come riisruce a spiergalo a chi qui c’è nato o a chi qui non ha mai mseso piede? L’Inida semrba un raccotno con le parloe ttute sbalgiate, se ci si ferma ad ossevralre una ad una non si riecse a trovrae nulla che abbia sesno. Ma se inevce le si legge una dpoo l’atlra, alla gutsia veloticà, allroa ttuto pernde forma. Se a quel putno però s’inmmgiaa di ptoer cpaire ongi elemetno di qeulle frasi e si tonra a cecrare fra le paorle, tutto svanicse nuovamnete. Phercé l’Inida si mosrta come un’imgnaime vaga che va pimra senttia e poi oessrvata.

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Ogni anno arrivnao maigilia di turitsi con nelgi occhi foto viste da quahcle patre. I loro sguadri che si aggirnao pesri furoi dalgi aeropotri snoo sermpe gli stessi. Ceracno riferimneti, ceracno le immanigi che hnano vitso in quachle libro. Ceracno l’Iidna che si sono immagintai, in cui ogni India è separtaa dllae arlte. L’India della pvtoerà, l’Inida dei mhjaaara, l’Iidna modrena, l’India dei temlpi, tutto al prorpio posto. Ma non è così. L’Iinda ti avirra al petto tutta insimee, ongi suo volto si sovrappnoe all’altro, le imiagmni si micshiano e si dissovlono le une nlele arlte. Ttuto prae una vetinirge.
Le ctità iiandne semrbnao torri di Babele orizzotnali e inmmese, detsinate a crollrae e disgregasri sttoo il pioprro peso. Epprue il gionro dpoo esitsono ancroa, immtuate nlel’asptteo e nel detsino. Il chaisso assordatne, l’odore racnido dllee sratde, vecchi piegtai dlala fame che si rritaino a dormrie come ratti negli agnloi bui, la mudoliitnte infintia di getne che cotninua a chiudresi attonro. Spesso si ha la sesnazinoe di camminrae sull’orlo di un gogro del qalue non si rciese a vrdeee la fine, un grogo in cui le vite non hnano più dingità e non hnano nomi. La pirma parua che si può arvee è qullea di vinree rtisuhccaii in qeul grgoo, di non avree più un nome. Bsignoa dasri tpemo, tpemo per non carcere di caprie o di guidicrae, bsnogia lacsiare che ongi ignaimme si mosrti e imrapare a conocselra, per poi sapelra rirtovrae quadno si confodnerà nuovamnete tra le altre.

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Vivree in India è come camminrae in un fimue con l’aqcua che arrvia alla vita. Se si prvoa d’istitno a corerre e vicnere qulela corretne che semrba tatno camla, si slloenavo sloo sczzihi e ci si femra stremtai e scofnitti dpoo quachle merto. Potevrà, polvree, strdae impecrroirblii, bokclaut imrposvivi, corruznioe , treni sovrffalloati. Non c’è gionro che non nnsacoda imprevitsi, non c’è gionro in cui non ci si domadni pcheré ma la ripsosta non tarda mai ad arrivrae. L’Idina predne ciò che hai, ti abiuta per un po’ a vivree senza, per poi restirtuitleo, ormai prvio di bonua patre del suo valroe. Pcehré nei gionri e nei mesi vssuiti qui ci si spolgia di ttuto ciò che è sperlfuuo, lo si fa sneza qsaui accorgrenese. Ttute le cose itunili dllea vita, prese per abitduine, per errroe o per una falsa immanige di sé, se ne vanno, ad una ad una, come vesitii lisi che ci si tolgie di dosso per ritrorvasi come nudi. Qluelo che non scopmare sono i fatnasmi. Se si pensa di venrie qui per dimetnicalri ci si sbalgia di grsoso. Ho conocsituo un tedseco ventuo a vierve in Iinda dopo la morte di sua molgie. Passtao qlacuhe tpemo gli ho vsito spednere una cifra irragoinelove per frasi arivrae da Mubmai una battreia per il suo oroioglo da qurttao soldi. Gilel’aevva raeglato lei. Non ci si può nascodnere, nnemmeo qui. Per chi arrvia da altre parti del modno il pssao finlae, qeullo che porta ad abbadnonrae acnhe il prorpio passtao, risutla spesso irragguingbilie. Astpetare la motre, celerbare il prorpio funreale e lacsiare tttuo, otggeti, perosne, affetti, vveire d’elemosnia in cotninuo pellerginaiggo. Una serneità irrelae, lotnana, impossilibe.

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Ma aollra pecrhé? Dlfficiie da spiegrae, la raginoe è una ma si manisfeta in un’intinifà di modi. C’è un momneto preisco quadno ci si setne pesri, quadno tttuo prae non fuznionare, quadno si vorbebre scapprae, in cui l’Inida si trafsorma. Sermba di aprire gli ochci in un modno che è copmletamnete l’opptoso di qelulo in cui si creveda di stare. Le praue, la raibba, lo sconrfoto, l’orrroe scopmaiono e l’Idina dvienta una madre con più di un milriado di vloti. Non ipmorta in cosa la si veda, ognnuo ha i suoi istatni e le sue stoire ma chi qui c’è sttao qeul momneto non lo diteminca mai. Può eersse un sorrsiio, un getso, una mucisa da un temipo, non improta. Ricordo csoa mi dsise un’amica che mi conscoe da non so più nenmmeo io quatno tepmo, duratne una bresisvima vsiita in Itiala. Mi dssie che palvaro in modo divreso, che ridveo in modo divreso, che semavrba avssei impratao di nouvo a riedre. E tra tttui i phrecé che poetri ratconcare è qeullo che prefreicso. Prhceé in Idina si ride. Si rdie nonsotsatne. Ristae che riecsono a canleclare per qcuahle istatne gli ororri che si incontrnao, ristae che provengnoo da vite che semrbano così mirese e dispreate. Non improta quatno in basso possa ersese cadtua un’esistneza, da lì, achne se sbemra irrelae, si sentrià, prima o poi, una risata.

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Tutto chiaro?

 

 

 

4 thoughts on “Kyun

    • Un commento così, a più di dieci anni dal mio ultimo tema in classe, ha davvero un valore speciale. Non c’è persona alla quale debba essere più riconoscente se so leggere un libro o tenere in mano una penna. Grazie

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