Appuntamento al teatro delle ombre

Manifestazione contro un secondo disarmante principio d’indeterminazione

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Poco lontano da casa, quasi ogni sera all’ora del tramonto, va in scena uno spettacolo di strada vecchio come il tempo, in un teatrino itinerante, improvvisato, decrepito e senza sipario, impegnato in una sfida inutile alla modernità. Il teatro delle ombre.
Come ogni teatro ha le sue regole, la più importante è il silenzio e quando sono capitato di qui la prima volta, l’ho subito infranta. Non mi aspettavo certo di trovare qualcosa di simile appena dopo una curva, così, per fermarmi a guardare, ho tirato i freni della mia bici che, avendo il terrificante difetto di fischiare più forte di un pastore, hanno distratto pubblico e marionette, rovinando tutto. Prima che l’equilibrio tornasse era passato troppo tempo e, per quella sera, non c’era più nulla da fare. Da quel giorno, quando torno qui, cerco di arrivare in anticipo e di non farmi notare, per poter rimanere seduto a terra ad aspettare l’inizio dello spettacolo, rilassarmi e godermi un po’ d’invisibilità.
In India, soprattutto dopo qualche tempo, si può davvero desiderare di essere trasparenti, perché qui, come d’altra parte in ogni luogo al quale non si appartiene, sembra valere un principio di indeterminazione che si disinteressa della realtà microscopica e coinvolge direttamente la vita quotidiana. Il principio, disarmante nella sua infallibilità, dice che più si cerca d’indagare un istante più ci si discosterà dalla realtà, perchè questa, disturbata da un osservatore così estraneo, lo includerà in sé, rendendolo incapace di capire davvero cosa sarebbe successo senza il suo arrivo.
Non mi riferisco certo al farsi sorridere mentre si cammina in strada o si scatta una fotografia. Le persone sorridono per gentilezza o per imbarazzo, soprattutto se ci si accontenta di una smorfia fasulla che uno sconosciuto obbediente si sforzerà di fare sentendosi ripetere ossessivamente: smile! Ma se si vuole andare oltre, allora tutto diventa più complesso. Passare tra la gente e riuscire a non cambiare nulla in ciò che sta succedendo diventa una sfida, che si abbia in mano una macchina fotografica o una busta della spesa mentre si torna a casa.
Sono davvero rare le occasioni in cui si ha la fortuna di arrivare appena in tempo per cogliere un momento vero, come quando un pellegrino dopo giorni di cammino vede per la prima volta, in bilico tra felicità e commozione, la sua meta.

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Il pubblico del teatro delle ombre è tutt’altro che numeroso e se ne sta sparpagliato e distratto. Sicuramente un tempo i bambini guardavano con più stupore quel palco improvvisato, ora ci giocano attorno, fermandosi, tra risatine soffocate, solo per qualche scena in cui ci sia un bacio appena abbozzato. Non so per quanto tempo ancora quel marionettista, che non sono mai riuscito a vedere e che sembra non esistere, continuerà a mettere in scena le sue storie. Nella lotta quotidiana con il principio d’indeterminazione sedermi a terra ed aspettare è una protesta piacevole, mentre normalmente le mie attese sono solo un tentativo di rimedio ad un danno. Come se la realtà fosse uno specchio d’acqua in cui io, per una ragione o per l’altra, riuscissi ad entrare solo con la grazia di un branco di animali. E una volta scompigliato tutto, non mi restasse che aspettare il calmarsi delle onde.
In un parco di Delhi un ragazzo spazzava il pavimento di un mausoleo, lo si poteva sentire da lontano, con quel fruscio che sembrava il richiamo di un vecchio che chiede continuamente di fare silenzio. Un suo compagno poco lontano vedendomi si è subito messo in posa come un eroe di un film scadente. Pensando che lo avrebbe fatto anche lui, mi sono nascosto per calmare le ultime onde che avevo creato e ho aspettato che arrivasse al centro di un corridoio, muovendosi con la lentezza di una radice perso nei suoi pensieri. A primo scatto l’eco delle volte mi ha fatto scoprire e quel ragazzo, armato della sua scopa e di un’umiltà commuovente si è fatto da parte perchè potessi fare una foto senza di lui, convinto che la sua presenza potesse rovinare tutto, mentre a rovinare tutto ero stato io con la mia mania di portare a casa trofei.

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Il teatro delle ombre è un teatro di figura, ha storie semplici, al di fuori del tempo, a volte così banali che si riescono a comprendere senza sapere una parola nella lingua dei personaggi. Sono piccole vicende familiari, litigi, scherzi, amori appena accennati, schiacciati nelle due dimensioni delle silhouette nere dei personaggi.
Eppure molto spesso il trovarmi dalla parte del pubblico, il dover essere per forza al di fuori dalla scena mi fa sembrare questi spettacoli più reali di buona parte di quel che vedo ogni giorno, dove spesso mi devo accontentare di rubare un istante prima che scompaia. Perché a volte non serve aspettare, tutto appare perfetto già dal primo momento e bisogna essere più veloci degli sguardi degli altri, in una specie di duello in cui si usano gli occhi al posto delle Colt, per contendersi un istante raro come un quadrifoglio. Prendere una strada e trovare all’interno di un cortile una donna seduta a terra, una macchia di colore in un quadro astratto. Non servono sorrisi o gesti, solo, un’altra volta, cercare di non alterare quella realtà così fragile che ci si trova davanti. Dopo lo scatto quella povera vecchina, vedendosi uno sconosciuto in casa e sentitasi derubata di un frammento di realtà, mi ha fatto scoprire che gli insulti in Hindi imparati in questi primi mesi non sono che una piccola parte di una realtà molto più complessa…

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Tra le tante ombre che occupano il palco, un personaggio al quale mi sono affezionato dal primo momento è il venditore ambulante, triste e sfortunato prodotto di uno striminzito canovaccio di storie dei villaggi indiani. Una marionetta dal collo sottile come quello di una clessidra, che si aggira sull’unica linea in cui può esistere con un canestro di rami intrecciati e una fiammella. Entra in scena  con una cesta sul capo alla quale sembra appeso, camminando in silenzio, senza quasi toccare terra. Si ferma in disparte, posa il canestro e aspetta che qualcuno lo chiami per comprare qualcosa. E così, nascosto ai più distratti, celato da un’invisibilità che vale solo per le altre ombre, scopre storie, segreti e amori, finché qualcuno lo nota e lo caccia via. A quel punto pare prendere improvvisamente peso e se ne va, triste per i primi due passi, poi di nuovo spensierato.
Non gli ho mai visto vendere nulla né ho mai capito cosa venda in realtà, se solo appartenessimo allo stesso mondo spenderei volentieri qualche rupia per poterlo scoprire e per potergli rubare un segreto.

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Ora silenzio però…Stanno per iniziare…

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Alla prossima

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